Non la strada che è difficile,
ma è il difficile che è la strada
(S. Kierkegaard)

mercoledì 24 giugno 2009

Sofferenza e missione


"Pensa qualcosa, un piccolo articolo, quello che senti"
Questo invito è risuonato nella mia testa per giorni. Cosa strana per me parlare di un qualcosa che seppur avvertendo quotidianamente sulla pelle, non riesco lo stesso a darne ancora completa spiegazione.
Sofferenza e missione, due parole così simili spesso, almeno nella consequenzialità: missione, in senso cristiano, arriva dove c'è sofferenza, quella pura e senza consolazione.
Mi accingo dunque a riflettere su questi due concetti e, curiosando sul vocabolario per avere la definizione di missione, rimango colpito da due parole "essere mandato".
Questo verbo è estremamente importante per noi cristiani che crediamo nella vocazione, nella Voce che ci chiama, in uno Spirito che ci invita ad assecondare le nostre inclinazioni.
Questi inviti però non sono sempre così facili da seguire!
Credo che ognuno quotidianamente incontri delle difficoltà, e figuriamoci coloro ai quali la vocazione ha cambiato, stravolgendo, la vita.
Come dicevo, io vivo da anni una condizione di sofferenza che all'inizio non accettavo: ero così amareggiato, affranto, non credevo e non sapevo più nulla; la vita continuava la sua corsa ma io non avevo nè lo scopo nè l'entusiasmo per viverla. Ero arrivato al punto più doloroso e più duro, ma mi avvicinavo anche al cambiamento.
Fino al quel momento conoscevo solo la prima parte del binomio sofferenza-missione, ed ora dovevo conoscere la seconda, la più bella, la più ricca di contenuti e di amore.
Il mio primo viaggio a Lourdes è stato l'occasione: qui ho trovato giovani che disinteressatamente e con gioia offrivano se stessi, il loro tempo, per farmi capire ed accettare la mia condizione, in modo da essere io, destinato ad essere passivo, a dare invece, dare ancora, a tutta quella gente bisognosa, la voglia di vivere, che anch'essi avevano dimenticato.
La mia trasformazione personale era avviata, e ascoltando nastri e libri, soprattutto di argomenti religiosi, ho approfondito la mia cultura e ho trovato risposte a vari interrogativi che mi assillavano negli anni bui e dolorosi.
Uno su tutti, mi tormentava ed è quello lanciato da Gesù che dice "...se qualcuno vuol venire dietro a Me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua...". E' una frase tremenda per chi sente solo la croce e la passività, per chi fugge solamente da se stesso senza pensare agli altri.
Ecco "pensare agli altri" è alla radice della missione, che non è solo quella che viene fatta nei Paesi lontani, ma è soprattutto quella che si deve vivere ogni giorno nella nostra realtà.
Basta poco, guardarsi attorno, e trovare un "mondo" di necessità alle quali non bisogna sottrarsi con le solite frasi del tipo "non ho tempo" e "se potessi, ma ho bisogno anch'io", anche perchè c'è sempre qualcuno che ha esigenze e difficoltà più di noi.
Per questo i miei giorni sono improntati, pur nei miei limiti, ad aiutare il prossimo, cercando di coinvolgerlo nelle mie iniziative, per fargli capire che in ogni caso occorre "fare" e "dare" per la riconoscenza che dobbiamo sempre a Dio per la vita che ci ha offerto.
L'esperienza di Lourdes, questo continuo donarsi, ha così plasmato il mio vivere fin nei gesti più piccoli: è così bello dire "buon giorno", sorridere, abbracciare le persone, e fare come Follereau con i lebbrosi, che alla richiesta di cosa dovessse fare per loro, gli risposero una cosa sola: "tendi la tua mano".
(testimonianza di Rocco, grande invalido civile di guerra e non vedente. E' una piccola storia di sofferenza, ma soprattutto di amore e dedizione al prossimo).

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